Un’ora e quarantasette minuti di un film shock, crudo e sincero. La protagonista racconta e vive con i suoi occhi la malattia in maniera critica rispetto agli stereotipi.

Tanti temi per un unico film
Per la prima volta vediamo sul grande schermo una serie di problematiche secondarie legate all’anoressia; importanti tanto quanto quelle primarie. Aumento della peluria, decadimento di pelle e capelli, ricorrere all’alimentazione forzata e il sottolineare come la poca e spesso errata informazione porti a metodi comunicativi dannosi.
Centrali inoltre sono il tema dell’ossessività e della paura di perdere il controllo, riportati in alcuni tratti emblematici del film. Per quanto riguarda l’ossessività c’è un gesto che accompagna Ellen dall’inizio alla fine del film, ovvero il controllo spasmodico del suo peso, misurando ossessivamente la circonferenza del suo braccio stringendolo tra pollice ed indice. Per quanto riguarda la paura di perdere il controllo, una scena emblematica nella sua onesta ironia è quella che mostra Ellen che conta le calorie con estrema precisione e disinvoltura, ridendo e scherzando come fosse un gioco.

Quanto è importante la famiglia?
Nel film sono coronate da rapporti conflittuali le figure genitoriali a lei vicine: la matrigna Susan e la madre biologica Judy. Queste due donne sono una l’opposto dell’altra e trattengono Ellen in un baratro. Susan combatte, se pur nella maniera più sbagliata per salvarla; notiamo la sua volontà nel voler lottare fino alla fine nonostante il suo sentirsi inadeguata ed essere trattata come tale. Dall’altro lato c’è Judy, che nonostante sia la madre biologica di Ellen è lei ad aver rinunciato di fronte alla malattia e ad averla abbandonata; nonostante questo sarà da lei che la protagonista troverà rifugio quando è nel suo punto più basso.
Un film da “e vissero felici e contenti”?
Non è quel genere di film. Nonostante la produzione americana non possiamo ritenere che il finale aperto in cui Ellen sembra aver compreso l’importanza delle cure sia un lieto fine. Non è semplice entrare nell’ottica che la persona con disagio psicologico possa attribuirsi la responsabilità delle scelte fatte e comprenderne le conseguenze. Il finale di questo film è un inno alla responsabilità di ognuno, un’invito a rispettarla, in cui bisogna “toccare il proprio fondo” per risalire.

Tra critiche e applausi
Da una parte il film è stato aspramente criticato perché porterebbe ad emulare determinati comportamenti, a renderli glamour e accessibili a tutti. In realtà i giovani sono costantemente esposti a questi contenuti, non ne rimangono scandalizzati, un film crudo e diretto che tratta l’anoressia può aiutare a sviluppare un occhio critico. Circolano da anni siti web su “thinspiration”, “pro ana” e “pro mia”; l’informazione sarà sempre accessibile a chi la cerca. L’importante è documentarsi in modo corretto che significa imparare a riconoscere i segnali, acquisire i metodi di comunicazione e di intervento che possono essere fondamentali.
Impensabile sarebbe credere che lo sviluppare un disturbo alimentare sia legato solo ed esclusivamente alla visione di un film che ne parla. Anoressia significa odiare se stessi, voler scomparire, esprimere un profondo disagio e una lotta struggente non in superficie ma all’interno si sé. Esistono tanti fattori scatenanti tra cui una piccola componente genetica oltre a fattori cognitivo-comportamentali.
Importante è parlarne senza paura, senza che siano un tabù per aiutare sia chi ne soffre, sia chi è a rischio. La filmografia deve parlare delle cose che ci fanno paura per aiutarci a viverle e ad esorcizzarle. Se conosci qualche persona che potrebbe soffrire di un qualche disturbo contatta il centro specializzato più vicino a te; non c’è nulla di male nel chiedere aiuto.