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Perché torniamo a parlare della challenge Blue Whale?

Dopo lo scoprirsi della finta challenge dell’orrore online si è aperto un dibattito: falso oppure verità? Gioco o no i suicidi sono reali.

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La storia dalle challenge dei suicidi

La Blue Whale è un fenomeno che ha preso piede nel 2017 con il servizio delle Iene. Se ne parlava già prima, dal 2015, come di un pericolo reale e causa di suicidi di ragazzi giovanissimi. Le regole sono semplici e la logica di base si ripete per anche i due casi successivi. Un curatore contatta alcuni ragazzi e ragazze “deboli” su un social network e invia contenuti raccapriccianti limitando il loro contatto con la realtà fino a spingerli al suicidio.

Momo arriva l’estate 2018 e sembra dare un volto alla Blue Whale, il “curatore” dietro questa nuova sfida dell’orrore utilizza l’immagine di una statua di una creatura mitologica giapponese. Momo torturerebbe le sue vittime fino allo sfinimento.

Jonathan Galindo sembra mettere insieme le due realtà riprendendo un inquietante rappresentazione di Pippo della Disney che perseguiterebbe i giovanissimi per spingerli al suicidio dopo varie richieste.

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Meme ed emulazione

Conosciuta la notizia i ragazzi hanno iniziato a cercare curatori per provare e alcuni hanno iniziato a fingersi tali. Tutto ciò per emulazione. Si definisce emulazione l’impegno nell’imitare, eguagliare o superare altri. Le persone che in generale cercano di imitare e somigliare il più possibile a qualcun altro sono generalmente insoddisfatte, insicure e con poca autostima. Le challenge come le precedenti, a prescindere dal nome, servono ad aumentare l’autostima, a rendere i giovani parte di un qualcosa. Quello che è successo ha lasciato molte domande in sospeso: si possono emulare le persone che sarebbero arrivate in fondo al gioco? Osservare notizie e foto di suicidi ne aumenta l’incidenza?

Psicologia e emulazione

L’approcciarsi all’età adulta non fa che aumentare la probabilità di volersi paragonare e ispirare ad altre personalità come fosse un gioco. Inizia un processo di costruzione della propria identità e dell’affermazione di sé con continua ricerca di conferme e approvazione. Sul web si intensifica l’impatto che gli altri hanno sulla nostra autostima andando a diminuire il confine tra ciò che è e non reale. Avviene in due modi: spesso i ragazzi apprendono ed emulano modalità nocive di gestione emozionale o di comportamento tramite il web trovate casualmente; altri invece già intenzionati, si mettono volontariamente alla ricerca.

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Suicidio: challenge o pericolo reale?

Parlare di fenomeni del web che aumenterebbero notevolmente il suicidio rischia di mettere in luce la problematica sbagliata sviando dall’attenzione le vere cause. Spesso si annida tra i pericoli del web: il cyberbullismo, l’anonimato dietro a cui si può celare il malintenzionato, l’interazione non sempre voluta tra virtuale e reale. Il suicidio di massa, giovanile, è una realtà sempre più attuale e concreta. Sarebbe sicuramente utili aumentare i canali di sensibilizzazione di come riconoscere i disagi, ma anche come muoversi dopo, utilizzando il web come mezzo di comunicazione. Gli adulti di riferimento andrebbero formati alla reciproca collaborazione, sia al fine di identificare eventuali comportamenti sinonimo di disagio – come la presenza di stati d’ansia ed il ritiro in se stessi – e cogliere le richieste d’aiuto, sia per fungere da collegamento con i servizi appropiati. Inoltre, è necessario promuovere in tali figure la propensione ad atteggiamenti aperti, non giudicanti, comprensivi ed empatici.

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