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Perché siamo tristi? Sopravvivenza o limite?

Ti sarà capitato di chiederti almeno una volta nella vita il perché siamo tristi e cosa possiamo fare con quello che proviamo. La tristezza è l’emozione che andremo ad approfondire in queste righe e come altre appartiene al gruppo delle emozioni primarie.

Ho deciso di dedicare uno spazio su questo blog per parlare di emozioni nel dettaglio, dedicando ad ognuna il tempo che merita. Questo articolo in cui vi parlerò della tristezza è la seconda di questa serie (troverete appena disponibili articoli sulla rabbia, gioia, paura, sorpresa e disgusto)

La tristezza in breve: un’emozione primaria

Siamo tristi quando veniamo in contatto con una perdita (reale o figurata, più o meno grave che sia) o di fronte ad uno scopo non raggiunto. Così come altre emozioni, spesso non si presenta da sola ma composta ad altre: classico esempio sono le lacrime di rabbia. In linea generale si parla di una sensazione di scoraggiamento e di perdita d’energia che porta a ridurre la frequenza delle proprie attività.

Come riconosco la tristezza?

La tristezza solitamente si caratterizza da atteggiamenti che potremmo definire di “spegnimento“. Tante cose rallentano: l’energia, la frequenza di interesse. Anche se spesso associata alle lacrime non è detto che queste siano la manifestazione visibile con cui si manifesta, anzi sono maggiori le persone che non piangono quando sono tristi.

Non esiste un’espressione giusta o meno, l’importante è che, qualsiasi sia la nostra, non decidiamo di reprimerla ma di accoglierla.

Spesso ha degli atteggiamenti e delle manifestazioni fisiche e comportamentali simili tra loro che aiutano a riconoscerla nelle altre persone e in noi:

  • sguardo spento con palpebre superiori scese e sopracciglia piegate verso il basso;
  • la pelle intorno alle ciglia solitamente forma un triangolo e gli angoli della bocca si abbassano (queste due manifestazioni in particolare ci aiutano a distinguere tristezza finta da tristezza vera);
  • aumento relativamente elevato del battito cardiaco;
  • piccolissime variazioni di temperatura delle mani.

Piccolo appunto: è bene NON considerare la tristezza come sinonimo di depressione, si tratta di due condizioni ben distinte.

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Lo studio della tristezza e la teoria umorale

C’è una forte correlazione tra tristezza e senso di pesantezza e ciò si ritrova risalendo all’etimologia del termine italiano. I medici ed i filosofi dell’antica Grecia e di riflesso anche dell’antica Roma sostenevano la cosiddetta “teoria umorale”. Questa teoria si fondava sulla credenza che salute e malattia dipendessero dall’equilibrio tra i quattro fluidi corporei descritti all’epoca: sangue, flegma, bile gialla e bile nera.

Le persone che subivano delle alterazioni nella salute avevano ripercussioni evidenti nel temperamento e nell’affettività a causa dello squilibrio di questi fluidi. A coloro che avevano la tendenza alla tristezza per un eccesso di bile nera veniva attribuito un temperamento melanconico – o triste appunto.

La tristezza fu un argomento molto trattato anche nel Rinascimento. I filosofi ed i medici dell’epoca erano affascinati soprattutto dal legame tra la tristezza ed il peso ipotetico del corpo che avrebbe spiegato la fatica e il rallentamento dei movimenti se tristi. I medici, riprendendo la teoria umorale, ritenevano che la tristezza fosse causata da un eccesso della sostanza densa nota come “bile nera” e che il corpo umano ne risultasse appesantito. Per questo secondo loro le persone che provavano questa emozione erano anche goffe, i loro volti si presentavano cadenti e la loro andatura era lenta.

Perché siamo tristi?

La tristezza è un’emozione comune a tutti gli esseri umani al di là delle culture. Seppure sia considerata spiacevole e nessuno sceglierebbe mai di provarla, è un’emozione importante nella nostra vita. Deve esserlo per forza, se fosse inutile alla sopravvivenza sarebbe scomparsa. Riesci ad immaginare a cosa serve?

La tristezza coincide anche con il momento in cui una persona raduna le proprie forze per adattarsi ad una nuova versione di sé stessa, dopo aver subito una qualsiasi perdita. Se si considera la tristezza come una strana, ignota e sgradevole creatura e quindi la si tratta con ostilità si diventa meno resistenti e resilienti al suo effetto e quindi più vulnerabili alle sue forme più gravi.

Nessuna emozione è sbagliata, tutte hanno ragione di esserci e hanno bisogno di essere accolte e ascoltate per permettere loro di mutare forma verso qualcosa di produttivo e sano per noi.

Inside-Out-Tristezza Perché siamo tristi? Sopravvivenza o limite?

Qualche spunto pratico:

La tristezza è nel qui e ora. È un’emozione e come tale ha un andatura a picco e limitata nel tempo; possiamo dire che è destinata a spegnersi naturalmente perché nella maggior parte dei casi il corpo umano tende a riportare i nostri parametri ad una situazione di stasi.

Non abbiate paura di provare tristezza. Come emozione esiste perché parla di un vostro bisogno, che come tale deve essere ascoltato.

Inspira, espira

Cosa possiamo fare per gestire il picco di tristezza? La cosa più importante è evitare che l’emozione diventi ingestibile, ma ricordarci con gentilezza e consolazione che è questione di un momento, passato il quale possiamo decidere come prenderci cura.

Possiamo gridare, piangere, ma soprattutto respirare. Un semplice esercizio di ispirazione e espirazione può riallacciare il contatto con la realtà, nel qui e ora.

Questo era solo un esempio.

Vuoi sapere cosa faccio io quando sono triste? Ecco qualche cosa su di me che forse non sai.

BIBLIOGRAFIA:

  • Ekman, P. (2008). Te lo leggo in faccia. Riconoscere le emozioni anche quando sono nascoste. Editore Amrita, collana Scienza e Compassione
  • Smith, T.W. (2017). Atlante delle emozioni umane. 156 emozioni che hai provato, che non sai di aver provato, che non proverai mai. UTET edizioni.

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